La Cassazione ha chiarito le regole riguardo al lavoro durante la malattia: quando uscire di casa è compatibile con il recupero e quando le attività svolte fuori casa possono compromettere la guarigione, giustificando un licenziamento. Un’analisi approfondita delle situazioni che incidono sul diritto al lavoro e alla salute.
Molti si chiedono cosa accada se, mentre si è in malattia, si esce di casa per svolgere alcune attività. Può sembrare una domanda semplice, ma la risposta legale è tutt'altro che ovvia. La recente sentenza della Cassazione n. 30722/2024 ha infatti stabilito principi chiari, ma anche sorprendenti, riguardo al licenziamento di un dipendente che, pur essendo in malattia, svolge attività al di fuori delle mura domestiche: ne ha parlato, in un post pubblicato di recente, l'avvocato Angelo Greco.
Secondo quanto deciso dai giudici, il licenziamento non è legittimo se l’attività svolta fuori casa non è incompatibile con la patologia del dipendente o non pregiudica la sua guarigione. La sentenza stabilisce che alcune attività fuori casa possano essere perfettamente compatibili con la malattia, mentre altre possono giustificare una sanzione più grave. In questo articolo esploreremo in dettaglio quali sono le situazioni che consentono l'uscita da casa durante una malattia e quali potrebbero invece portare a un licenziamento.
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Cosa si può fare durante una malattia? Le attività consentite per non perdere il lavoro
Secondo la Cassazione, alcune attività svolte fuori casa non solo sono accettabili, ma addirittura possono favorire il recupero del lavoratore. In particolare, se un dipendente è malato di depressione o ansia, alcune uscite quotidiane sono considerate perfettamente compatibili con la sua condizione. Passeggiate leggere, attività ricreative, o anche una semplice uscita con amici per distrarsi, possono essere viste come interventi positivi per il benessere psicologico e fisico del dipendente.
Anche attività più pratiche, come fare la spesa, andare in farmacia o sbrigare altre commissioni necessarie per la vita quotidiana, non sono considerate incompatibili con la malattia. Inoltre, le visite mediche per il trattamento della patologia stessa sono chiaramente legittime, e non possono essere oggetto di contestazione da parte del datore di lavoro. In questi casi, quindi, il dipendente non corre alcun rischio di licenziamento, purché le attività siano proporzionate e non compromettano la guarigione.
Le attività che invece giustificano il licenziamento
Tuttavia, la Cassazione è stata chiara anche su quali attività possano giustificare un licenziamento. Se un dipendente, mentre è in malattia, svolge un’altra attività lavorativa, questa situazione può essere considerata una violazione grave. In caso di malattia per depressione, ad esempio, se il dipendente viene sorpreso a lavorare per un’altra azienda, il licenziamento può essere pienamente giustificato. Non solo, ma partecipare a attività particolarmente stressanti o pericolose potrebbe anch’essa ostacolare la guarigione e giustificare una sanzione severa, come il licenziamento. Se il dipendente si dedica ad attività che, secondo la valutazione medica, sono dannose per la sua salute o rallentano la ripresa, questo potrebbe essere considerato un comportamento che non rispetta gli obblighi di astensione dal lavoro previsti per chi è malato.